È la prima cosa con cui interagiamo appena svegli al mattino, l’ultima che guardiamo prima di addormentarci.
Apple ha costruito un impero su questa abitudine. L’iPhone è diventato estensione della nostra mente, del nostro corpo, del nostro tempo.
Ma ora qualcosa sta cambiando. Un nuovo dispositivo si affaccia all’orizzonte. Non ha schermo. Non ha app. Non chiede attenzione.
Si chiama semplicemente… “io”.
Dietro quel nome, così umano e così disarmante, si nasconde una rivoluzione. Una rivoluzione che viene dall’alleanza tra Sam Altman, il volto dell’intelligenza artificiale e Jony Ive, l’anima estetica che ha dato vita a tanti prodotti Apple che ben conosciamo.
Insieme, progettano un nuovo oggetto. O forse qualcosa di più di un oggetto. Qualcosa che ci accompagna. Che ci osserva. Che ci capisce. io.
Un futuro senza schermi
“io” non vuole sostituire l’iPhone. Vuole renderlo inutile. Non ti costringe a cercare un’icona da toccare. Non ti distrae con notifiche. Ti ascolta.
Ti risponde. Agisce, a volte, prima che tu dica qualcosa.
Non è una macchina. È una presenza discreta. Quasi invisibile.
Con Apple Inteligence, anche l’azienda di Cupertino sembra volere una tecnologia potente, ma rispettosa. Un’AI che resta sul dispositivo, che non invade; una tecnologia che potenzia, ma non sostituisce. Sembrano concetti illuminati, ma a vedere il lavoro di Ive e Altman, che addirittura tolgono di mezzo l’interfaccia a schermo, appaiono superati.
Apple punta tutto su privacy e processing on-device. “Apple Intelligence”, la nuova suite AI che stiamo vedendo con iOS 18 e macOS 15, non sarà chissà quanto potente ma è ancora sotto il controllo dell’utente. Niente dati inviati in cloud senza consenso, nessun agente che agisce “per te” senza che tu lo chieda.
Il progetto “io”, invece, parte dalla logica cloud-native di OpenAI: un’intelligenza connessa, che cresce e migliora osservando. Ma se vogliamo che la tecnologia ci capisca, e non imbarazzante come SIRI, fino a che punto siamo disposti ad accettare che decida per noi?
Da una parte la tecnologia come strumento, estensione delle mani, degli occhi, della voce. Dall’altra la tecnologia come coscienza parallela, che vive accanto a te, che ti conosce quasi più di quanto tu conosca te stesso.Non è solo una guerra di dispositivi, è una battaglia culturale e filosofica.
Come potrebbe essere
Ho chiesto a Chat-GPT di farmi un esempio di come potrebbe essere l’interazione con “io”, ne è uscito questo racconto che, sinceramente, trovo un po’ inquietante.
“Buongiorno. Hai dormito sette ore e venti minuti. Il tuo primo impegno è alle nove e mezza. C’è tempo per una colazione tranquilla.”
Non era un messaggio. Era una voce che conosco, sussurrata, discreta, presente.
Sul comodino, l’unico oggetto visibile è quel piccolo cerchio d’alluminio, appoggiato come un sasso sulla sabbia. Non lo tocco, non lo guardo. Lui c’è.In cucina, mentre preparo il caffè, mi ricorda che ieri ho dimenticato di rispondere a mia sorella.
“Vuoi che le mandi un vocale da parte tua? Potresti dirle che oggi pensavi a quando andavate in bicicletta.”
Sorrido. È vero. Ci ho pensato.Mentre esco, mi avverte: “C’è un incidente sul solito percorso. Vuoi che ti guidi per un’alternativa più rapida e tranquilla?”
Annuisco. Il navigatore della macchina si regola da solo. Nessuna app, nessun click.Arrivato in ufficio, mentre parlo con una collega, lui nota il tono della conversazione.
“Vuoi che ti aiuti a spiegarti meglio? Potresti dirlo così…”
Mi suggerisce una frase chiara, gentile, che scioglie la tensione.A pranzo mi propone un posto dove oggi servono un piatto che potrebbe piacermi. Lo conosco già, ma avevo dimenticato quanto fosse buono.
Dopo pranzo, mi chiede se voglio un momento di respiro prima della riunione.
“Ho trovato un audio di tre minuti che potrebbe aiutarti a ricaricarti.”
Lo ascolto mentre respiro. Non musica, non parole. Solo suoni.Il pomeriggio passa senza notifiche, senza distrazioni. Lui filtra.
Alla sera, mentre sto per tornare a casa, dice: “Hai avuto una giornata intensa. Vuoi che prepari le luci soffuse per quando arrivi?”
Entro, e la casa mi accoglie.Mi siedo. Lui resta in silenzio.
Poi chiede, come un amico:
“Ti va di raccontarmi com’è andata oggi?”
Claudio Di Tursi per ApplePhilosophy
